Non so se si possa dire proprio “anima viva”, perché in effetti è un'espressione molto limitata: è soltanto il genere umano ad essere scomparso, non altro, non la flora, non la fauna… pur non volendo aprire un dibattito sull’esistenza dell’anima fa gli altri esseri viventi che popolano la terra, suona comunque male.
Sono scomparsi gli uomini.
Le case sono vuote, le città deserte, le comunicazioni terminate. L’animale che negli ultimi millenni aveva abitato il pianeta Terra da dominatore, non c’è più.
Aveva sconfitto o sottomesso gli altri animali, aveva saputo domare il fuoco e costruire strumenti che lo avevano reso cittadino privilegiato grazie ad una qualità che fu poi chiamata tecnologia, aveva percorso migliaia di anni per mare, per terra e perfino negli ultimi decenni per aria, in qualche modo; ed ora non c’è più. Non importa il motivo, non si sa se per cause naturali o autoindotte dal nostro sistema tecnologico o immunitario, se per una qualunque profezia a scelta fra quelle Maya, dell’Apocalisse o Mahditiche, o perchè ci siamo ritrovati una mattina a dover abbandonare tutto per presentarci al Giudizio Universale. Non c’è più.
Dopo la nostra scomparsa, le luci hanno presto cominciato a spegnersi, ovunque.
Senza la mano dell’uomo, i tre quarti dell’energia prodotta che derivano dalla combustione non sono durate che qualche giorno; qualche centrale nucleare sarebbe potuta anche rimanere accesa per altri 20 anni, in teoria, ma dopo soli 2 giorni si sono già tutte spente a causa della procedura automatica di sicurezza, così come le eoliche, per l’assenza della manutenzione alle turbine, e così adesso la luce è di nuovo quella che nessuno di noi metropolitani ha mai conosciuto, nemmeno per una sola volta. Quella delle stelle.
Ricordo di averla vista soltanto una volta, in una zona molto isolata della Croazia, e fu una rivelazione assoluta, come capire in un solo, inaspettato attimo, cosa doveva essere il mondo soltanto pochi decenni fa, e realizzare all’istante il motivo per il quale avevo visto mappe medievali del mondo sulle quali il cielo era disegnato come una cupola appoggiata sulla terra e traforata di stelle: perché è esattamente questo, ciò che vedono gli occhi.

E poi, il silenzio.
Nessuno immagina cosa sia, in città, il silenzio, perché noi lo abbiamo sempre considerato soltanto come l’assenza del rumore.
Questo silenzio invece è quello che spesso ascolta colui che vive fuori dalle città, e non è certamente nessuna mancanza di decibel, è solo la qualità ad essere diversa: vento, animali, foglie, tuoni, altro che assenza di rumore…
Intanto, ogni struttura edificata dall’uomo comincia a chiedersi cosa fare delle sue molecole artificiali.
Molte città vivono sopra gallerie costruite per fognature e metropolitane sotto il livello della falda freatica; nell’ex città di New York erano aperte a ritmo costante oltre 700 pompe sempre in funzione solo per tenerle libere dall’acqua.
Sono passate solo poche settimane, il “nostro” vecchio cibo ormai si è avariato, ed ha portato un primo cambiamento di quelli che cominciano ad essere evidenti: la fauna… nelle prime settimane c’è stato un banchetto di animali infestanti, quelli che facevano sempre tanto schifo agli uomini, ma dopo pochi mesi si sono dovuti ritirare, ed a prevalere è stato un aspetto decisamente selvaggio.
Sono ritornati i predatori.
Lupi, coyote, linci… non ci hanno messo molto, nemmeno un anno: nelle città ancora integre la natura comincia già a dare il Segno di quello che, si capisce bene, sarà il sopravvento definitivo.
La vegetazione sta conquistando ogni crepa, come quando quelle che noi chiamavamo erbacce entravano in ogni anfratto, con una potenza riproduttiva invincibile. Inizialmente, cominciano ad apparire soprattutto distese di verdissimi trifogli, o loro colleghi particolarmente bravi a convertire l'azoto in sostanze nutrienti: è il caso di dire che la natura si sta preparando il terreno…
Sono arrivati anche i primi fra quegli animali che eravamo abituati a studiare solo sui sussidiari: cervi ed orsi pascolano nelle prime aree riconquistate, e da ora a solo 5 anni le strade saranno ormai ricoperte dalla vegetazione e dalla loro presenza, le strisce nere e grigie di asfalto spariranno in un tono di verde che probabilmente nessun urbanista aveva pensato di inserire nei vari piani PUC, PEEP, PUA, PP e quant’altri.
Sono passati già 20 anni, e qui possiamo anche fermarci un attimo con la fantasia, perché c'è già la realtà: dobbiamo trasferirci per un attimo a Pripyat, che una volta era una moderna città ucraina di 50.000 abitanti, e che nel 1986 ha avuto l’unica colpa di trovarsi troppo vicino al reattore 4 di Chernobyl: colpita dal disastro nucleare, fu completamente evacuata, e da allora è rimasta disabitata e inabitabile. Ci sono molte immagini ed alcuni reportage in rete, conviene dare uno sguardo dal vivo per farsi un’idea precisa.
Se “dal vivo” si può dire.
Dai 20 ai 40 anni dopo insomma, tutto ha assunto definitivamente l’aspetto classico della città fantasma, gli animali hanno nidificato fra gli edifici, le strutture sono completamente in rovina, ed in campagna la natura comincia a cancellare ogni traccia della presenza umana. Molte città sono già sparite, sommerse dalle acque come Londra, che si proteggeva dalle maree con barriere artificiali, per non dire di Amsterdam…
I palazzi di acciaio e cemento sono ancora in piedi, ma le case in legno già possono dirsi del tutto in rovina; quelle in pietra no, ma provate a chiedere agli ingegneri quante e quali siano… e poi, anche per loro, è solo questione di tempo.
Tracce di decadenza appaiono perfino sulle opere più imponenti, come mostra l’evidente deterioramento del ponte di Brooklyn ormai senza manutenzione, dove i cavi di acciaio tornano ad essere ossido di ferro, volgarmente detto processo di corrosione: anche per lui, polvere alla polvere, cenere alla cenere...
Ricordo che sul Golden Gate erano sempre operativi ogni giorno 38 imbianchini con tonnellate di vernice arancione da applicare senza sosta, oppure i cavi per la ruggine si sarebbero spezzati e tutto sarebbe crollato: beh, manca poco.
Sono passati 75 anni, ed ora 600 milioni di automobili sparse ovunque appaiono solo rottami arrugginiti.
I tunnel delle metropoli allagati fanno crollare le volte e le strade soprastanti, i palazzi sono tutti colonizzati da animali di taglia piccola, e quindi soprattutto dai gatti, che dopo 150 anni hanno preso il temporaneo sopravvento, cosa di cui confesso di essere particolarmente compiaciuto.
Gli oceani sono tornati ricchi di vita... per la fauna marina è stata una vera goduria, hanno smesso da tempo di fare da dispensa e da discarica...
200 anni. Le opere in ferro e acciaio stanno crollando, la Tour Eiffel già non c’è più, se non come ammasso di rottami, e di qui a 500 anni il cemento mostrerà la differenza di tenuta con quello che invece usavano gli antichi romani: rispetto al loro, il nostro, in calcestruzzo e barre di acciaio, ha già perso l'alcalinità e si è corroso, dilatandosi e sgretolandolo dall'interno…
Mille anni. Mille e non più mille... nessun edificio disegna nel cielo nessun paesaggio antropizzato. Nessuna traccia di attività umana, solo la fittissima vegetazione ed il ristabilito, antico ciclo idrogeologico… i fiumi fanno i fiumi, i mari fanno i mari, i laghi sono laghi.
Guardo questo panorama che ha ricoperto quasi ogni traccia visibile del nostro passaggio terreno dopo così poco tempo, e ricordo che qualcuno ostinatamente si chiedeva, fra gli uomini, cosa sarebbe rimasto della nostra storia e cultura, insomma i popoli futuri se non anche eventuali alieni o forme di vita extraterrestre, cosa avrebbero saputo di noi, come magari noi sappiamo qualcosa, un po’ di cose, su chi ci ha preceduto?
Pensiamo un attimo a cosa abbiamo affidato questa memoria. La carta e la pellicola fotografica hanno una vita media di 300 anni, se mantenute a livelli costanti di umidità, altrimenti non più di 150. Le pergamene del Mar Morto, per intenderci, sono arrivate a noi oltre 2000 anni dopo come eccezione, a causa delle condizioni particolarmente favorevoli del clima secco e della mancanza di luce.
I supporti digitali, i vari cd e dvd, durano dai 30 ai 200-300 anni.
Sono numeri infimi: se fosse sempre stato così non avremmo conosciuto nemmeno la storia egizia. La conosciamo invece, perchè è stata scolpita nella pietra, non masterizzata su un CD o scritta su carta.

Anzi no, mi correggo, uno c’è: l’unica speranza di tramandarci durevolmente attraverso un materiale tecnologicamente “nostro”, è nella magnifica e soffocante invenzione più immortale dell’uomo: la plastica, per la quale sicuramente prima che i microbi si evolvano per biodegradarla, ci vorranno almeno qualche centinaia di migliaia di anni. Evviva.
Resta ancora, però, la domanda che molti si facevano, mille anni fa: possibile che l'umanità sparisca senza lasciare traccia?
Cercando di ovviare a questo pensiero evidentemente insopportabile, alcuni scienziati pensarono che le emissioni radiotelevisive sparate nello spazio sarebbero potute essere colte da intelligenze che avrebbero potuto captarli e così conoscere la nostra presenza e capire le nostre esistenze: beh, pare che queste emissioni dopo 2 anni luce si siano già trasformate in rumore indistinto.

Quale testimonianza del passaggio dell'uomo è rimasta, dunque? Le opere architettoniche più colossali se ne sono andate, anche l’unica famosa per essere visibile dallo spazio, la muraglia cinese, dopo qualche centinaio di migliaia di anni; la piramide di Giza, la diga Hoover, le sculture del monte Rushmore sul granito massiccio dopo 100.000 anni…
Il pianeta, lui si, sopravviverà senza problemi, anzi con molta maggiore facilità e respirando anche meglio, ma con ogni probabilità niente e nessuno potrà raccontarne la storia. La “storia” che conosciamo noi, intendo.
Non sarò elegante, ma il primo pensiero, di fronte a tanto desiderio di sopravvivere a noi stessi, e di chiedersi cosa resterà di noi, è molto semplice: e chi se ne frega?
È talmente rassicurante, il pensiero del ricongiungimento alla natura, sebbene attraverso il nostro inglobamento fisico nel suo disegno, sconosciuto e probabilmente destinato a rimanere tale, che tutti questi sforzi di sopravvivere a noi stessi perdono di senso. Come se sopravvivere significasse esistere al di là delle leggi naturali. È una palese contraddizione, ma non basta a frenarci: noi vogliamo assolutamente che qualcuno sappia di noi. E contemporaneamente, quasi nessuno vive la sua vita se non come se fosse appunto la “sua”, l’unica che conta.
La scomparsa dell'uomo rientra con ogni probabilità nel ciclo naturale dell'esistenza: sui 4,5 miliardi di anni d’età della Terra, cosa rappresentano le nostre poche decine di migliaia?
E' come se la nostra avventura fosse durata solo 30 secondi nell’arco di un’intera giornata, mentre pensiamo che il nostro antropocentrismo possa “antropocentrare” perfino la storia del pianeta Terra, quando lui non solo non si accorgerà che a stento del nostro passaggio, ma anzi è probabile che non vedrà l’ora di cancellarne le tracce.