mercoledì 10 febbraio 2010

Morso alla luna


(pubblicato anche su www.teatro.org)

Al Teatro Nuovo è tornato Giancarlo Sepe con Morso di luna nuova, uno spaccato di quell’estate del 1943 in cui, nel testo di Erri De Luca, si ricompongono i pezzi di una Napoli che sotto i bombardamenti cercava di capire quale fosse la sua identità. La vicenda intreccia le vite di alcuni napoletani nei momenti in cui sono costretti a riparare in un rifugio: il generale fascista a riposo, il giovane appassionato, il balbuziente, lo smaliziato falegname, la mamma popolana con la figlia romantica, il portiere patriota ed il venditore di baccalà segretamente ebreo.



Rispetto al testo originale, c’è un taglio più simbolico ed evocativo, drammatizzato soprattutto nelle espressioni ed attraverso le posizioni sulla scena. Ed alcune scene corali sono vere e proprie coreografie, come alcune danze dei personaggi con il loro pannello di scena, la fuga iniziale verso il nulla di un ricovero e quella finale verso una rivolta di popolo sempre con l’oggetto-simbolo avvinghiato a sé: una sedia, una valigia od una coperta. È uno sguardo che offre una esposizione molto essenziale delle anime, senza concessioni ad una possibile apertura quasi comica delle situazioni di vita quotidiana napoletana, pure presente nel testo originale, ma anzi trasformandola semmai in uno sporadico sorriso, intimista ed amaro.

Erri De Luca cita il suo morso come quello «di una città che addenta e insegue fino a sbattere fuori l’occupante intruso; […] ci sono sussulti in cui le singole esistenze spezzano la camicia di forza e inventano la libertà». Forse avrebbe meritato un po’ di spazio e di attenzione in più la parte finale, la terza stanza, il momento in cui la precarietà di un popolo diventa la sua forza e la Napoli “che sta sotto” diventa capace di distruggere la Napoli “che sta sopra”: l’esplosione delle quattro giornate, in quel 27 settembre 1943 in cui il primo quarto di luna si fece appunto strada nel cielo ispirando l’evocazione di De Luca con il ricorrente richiamo alla canzone di Salvatore di Giacomo, Luna Nuova.

Ed una ultima lettura, dal sapore simbolico, potrebbe essere forse quello degli elementi che circondano questi personaggi: la terra sotto cui cercano riparo, come in un culto ctonio così spesso presente nella cultura napoletana, il mare in cui ricercare una libertà sempre presente, come nel tuffo liberatorio della ragazza sotto il bombardamento, ed il cielo, che invece in quei mesi era ormai perso, sotto gli sciami degli aerei che lo annerivano.


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