La storia di Lauro De Bosis è una di quelle dimenticate dalla Storia con la S maiuscola, prima per volontà di regime che l’ha tenuta nascosta per ovvi motivi e successivamente per motivi ignoti, o forse perché le analoghe imprese di D’Annunzio prima e Bassanesi poi furono ritenute più “consone” all’epica bellica.
Lauro De Bosis era un poeta-patriota (l'unico lavoro che ha lasciato porta un titolo che è quasi un presagio: Icaro) oppositore del regime fascista fin dalla marcia su Roma, che il 3 ottobre 1931, da una campagna vicino Marsiglia partì con un piccolo aereo da turismo (un Klemm L25) alla volta di Roma, dove riuscì a lanciare 400.000 volantini ostili alla dittatura proprio nella zona di Palazzo Venezia e di Palazzo Chigi, e sulla via del ritorno, rimasto privo di carburante, precipitò nel Tirreno.

Lo stesso dicasi per gli intermezzi con cortometraggi anni '30, un po' generalistici, tranne l'ultimo, assai fortemente evocativo, dell'uomo che entra nell'acqua con un sorriso beffardo, ed il suo cappotto indosso.
Il mondo nel quale ci si immerge, invece, è di primo piano, e tocca il senso stesso della poetica secondo De Bosis, ovvero quella che coincide con la coscienza della libertà stessa: il poeta sor-volante sulle teste, sui discorsi e soprattutto sui proni conformismi e sul silenzio, come unico ed ultimo baluardo contro una tirannia che possiamo eleggere ad assoluto, per lo stesso principio secondo il quale alcuni simboli devono necessariamente essere universali, che richiama la strenua, millenaria lotta di Ipazia proprio in questi giorni tornata alla ribalta...
Se si studiano le carte dell'aviazione civile tedesca e si ricostruiscono con attenzione i pensieri di coloro che in ogni forma ne presero parte aiutandolo a prendere infine il volo, si scopre che vi sono prove quasi certe della consapevolezza del suo sacrificio, oltre che lo stesso testo da lui scritto prima di partire: Storia della mia morte.

Ma il punto era proprio questo: Lauro De Bosis sapeva, si, che aveva quasi nulle speranze di tornare indietro, ma per lui la riuscita dell'Impresa non era salvare la vita di un eroe, quanto piuttosto dare l'Esempio, e portare a termine il lancio dei 400.000 volantini con cui si era stipato il velivolo.
Il resto, contava poco. Anzi, come scrisse egli stesso, immolarsi sarebbe stato infine un successo ancora più alto da annoverare nella riuscita:
“Dopo tutto, si tratta di dare un piccolo esempio di spirito civico. […]Mentre, durante il Risorgimento, i giovani pronti a dar la vita si contavano a migliaia, oggi ce ne sono assai pochi. […] Varrò più da morto, che da vivo.”
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