lunedì 7 giugno 2010

Acrobazie e violenza: Öper Öpis e Romeo and Juliet

Nella instabilità magari si respira meglio, e molti dovrebbero imparare a trovarcisi più spesso: potrebbe rimanere questo messaggio, da un lavoro come Öper Öpis, nel quale gli acrobati, i funamboli ed i clown diretti da Zimmermann & De Perrot fanno sì che tutti gli elementi materiali perdano le loro identità spaziali.
La scena si struttura con un crescendo continuo di addizioni spaziali che riempiono anche un'ampiezza metafisica, grazie soprattutto all'assenza di punti di riferimento gravitazionali, e richiamando anche un'evoluzione dell'uomo ed una interpretazione dei gesti quotidiani che potrebbe stare a metà fra 2001 Odissea nello spazio e Tempi moderni.
La sincronia dei corpi è molto precisa, e la sapienza del gioco scenico, ottenuto con una semplicità di elementi fatta soprattutto di pannelli e base basculante, dimostra quanto un'Idea ed una Tecnica siano in grado di dire e di dare, e soprattutto di prevalere. Il dee-jay segue in diretta, spesso “scratchandole” con i suoi LP, le performance che tendono a trasformare in gioco anche piccole tragedie quotidiane, e contrapposizioni sia ideali che materiali dei corpi, come l'atletico/magro ed il potente/possente, e sia nel rapporto uomo-uomo che in quello uomo-donna, nella continua perdita di orizzonti di orientamento immediatamente riconoscibili, che rimane il motivo principale dell'intero lavoro.
Il finale è un'affascinante sospensione assoluta nello spazio, in cui le stelle si fondono con elementi di fisica e di surrealtà.

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ROM-eo and Juliet, invece, potrebbe avere la sua cartolina nel momento in cui il Teatro si apre alle spalle, ovvero quando la scena fisica letteralmente apre una porta sulla strada alle spalle del Mercadante, in piazzetta dei Francesi, facendo trovare il pubblico di fronte al vicolo, una metafora dell'ennesimo aprirsi di uno Shakespeare al tempo moderno, ed è così che Capuleti e Montecchi si ritrovano a vivere tra i cosiddetti extracomunitari di un qualunque sobborgo metropolitano dei giorni nostri.

Il Teatro è nudo, e le pareti del retro-scena col suo cemento privo di pannelli e colori, sono grigie come il senso che si vuole dare all'atmosfera ed agli accadimenti.
E', però, un grigio che pervade un po' troppo, e penetra anche in una incertezza generale ed in dialoghi poco comprensibili, fatto salvo un Mercuzio/punk sempre molto efficace, al contrario del Benvolio/musulmano, per non dire di Tebaldo.
Via via si perde inoltre un po' tutto il senso post-moderno, come se i personaggi rimanessero ad inseguire un testo classico con un certo spaesamento, anche da parte del pubblico, e con l'innesto di un doppio nudo molto esplicito, ma non so quanto utile. Molto bella, invece, la scena finale con un enorme sudario che ricopre ogni cosa, sebbene inaspettatamente priva della scena-clou del di lei suicidio.
Però, però... c'è qualcosa di molto convincente, in questi Capuleti e Montecchi, che fa risaltare bene la differenza fra la Luce (la guerra dei clan, la faida infinita) ed il Buio (nel quale è relegato l'amore tragico, un vero ossimoro impossibile da risolversi se non con la morte), ed è la sensazione di aver trovato, finalmente, la giusta dose di brutalità in una tragedia epica famosa per un amore mitico nel quale invece è stata spesso sottovalutata, appunto, quella violenza che domina molto più la storia e l'atmosfera, di quanto non faccia invece il romanticismo di cui, volontariamente o meno, Giulietta e Romeo sono stati inondati fino all'annegamento.

1 commento:

  1. Si Riccardino,
    però Giulietta nuda aveva un suo... perchè...
    e ja!

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