Non si è fatto mancare nulla, l’esordio della terza edizione Teatro Festival: la presenza dei disoccupati dell’ex birreria Peroni che hanno avuto l’opportunità di farsi ascoltare, la sorpresa di una location concepita e realizzata in maniera perfettamente funzionale in uno spazio rimasto per anni abbandonato (il segno più evidente che i problemi dei riusi e dei recuperi non sono mai tecnici), una pièce straordinaria per numerosi motivi, ed un pubblico che oserei definire devoto, per la semplicità e la naturalezza con cui ha seguito le quasi 9 ore dello spettacolo; insomma un vero e proprio happening, prima ancora che una rappresentazione.

È una vera e propria distensione temporale, quella che viene proposta: corre in avanti ed indietro nell’arco di 70 anni a partire dal 1945, ed ha per filo conduttore principale la Voce, esplorata modernamente anche in funzione della sua interazione con il Discorso, il Linguaggio e la Comunicazione, ed in costante alternanza fra la sua dimensione fisica e quella metafisica.
La prima voce appare con la profonda leggerezza e l'intimismo della Sinfonia n. 3 per soprano e orchestra di Henryk Gorecki, detta Dei canti lamentosi: adorata e disprezzata dagli appassionati, senza mezze misure, per le sue suggestioni medievali che non conservano però la forza liturgica gregoriana, intimista più che sacra, questo canto introduce la prima di nove puntate inserendo lo spettatore subito in una scia che offre sia il senso della ricerca vocale, sia uno dei significati che tracciano l'intera trama (“Parla con tua madre, anche se mi stai lasciando”).
In una scena che si sposta nel tempo e nello spazio, fra il Nicaragua e le Canarie, Francoforte, Montreal e Manchester, l'apertura è degnamente rappresentata da un interno in un aereo su rotta intercontinentale, quando una giovane donna muore avendo in braccio il figlio appena nato, ed è così che dalla voce cantante e intima, ci si sposta alla voce del vagito, via via trasferendosi su quella dell'adolescente e poi dell'adulto.

Né mancano i temi affrontati, anche in maniera sorprendente: prima di riannodare tutti i fili della trama, si incontrano personaggi di spessore come lo Scienziato paragonato a San Tommaso, che opera una cantante al cervello facendola riflettere sul pericolo della perdita della parola, ma non della voce, e che diffonde un messaggio michelangiolesco contenuto nella Creazione della cappella Sistina, nel quale egli legge appunto che il vero Dio sarebbe il cervello umano… (“Il problema della neurologia è che si esplora il cervello umano con il cervello umano: e questo è impossibile!”).

Fra le suggestioni più riuscite, in una continua alternanza di momenti esilaranti e poetici, ricorderei la materializzazione delle visioni e degli incubi con una scena semplice, bianca con ombre, e poco dopo con la ripetizione geniale della stessa scena due volte, vista dai due lati opposti specularmente, la prima da quello della materializzazione degli incubi-visioni della protagonista, esterna all’ambiente della libreria in cui lei si trova, e la seconda dal suo interno, ovvero dalla parte della “realtà”.
Uno dei risultati ottenuti, anche e proprio a causa della formula moderna dell’intreccio quasi cine-televisivo, azzardiamo da soap-theatre, è che vengono proposti più livelli diversi di lettura, ovvero al di là delle citazioni e dei richiami che si rinvengono ovunque, e dei quali ognuno può esercitarsi a fornire la sua interpretazione, rimane sempre aperto un piano sul quale nessuno spettatore sfugge alla cognizione, e che riesce a farsi seguire fino in fondo anche con il meccanismo apparentemente meno fruibile della sotto titolatura, fino all’ultimo episodio, quello delle verità rivelate, con un carico drammatico e catartico nel quale convergono storie di violenze, stupri e massacri interiori di quelli che devastano letteralmente l’anima, e che lasciano, infine, senza più Voce.


Anzi, resta solo quella stessa Voce con la quale si era aperta la scena, a cantare “Voi, gentaglia, in nome di Dio, perché avete ucciso mio figlio? Mio figlio è in una tomba. Non so dove. Invece di dormire in un letto caldo”, tutto simboleggiato da una scena finale che è una vera e propria Deposizione al contrario, laddove è il Figlio, che depone finalmente la Madre in terra, straziata e divenuta l’incarnazione del Male dell’uomo all’uomo.
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