martedì 2 novembre 2010

I remember you well in the Chelsea Hotel...


Non conoscevo il Chelsea Hotel se non per qualche sua presenza in film come Chelsea Girls di Andy Warhol, Sid & Nancy di Alex Cox, Léon di Luc Besson, Midnight In Chelsea e The Interpreter, fin quando di recente alcune cronache, e più di tutti il Wall Street Journal, se ne sono occupate con un certo dettaglio, come accade sovente quando un Mito viene messo in vendita.
Dopo la cessione della gestione della hall, i troppi milioni di dollari necessari per rimetterlo in piedi, le ammaccature del tempo e l'umidità hanno avuto il sopravvento, e così proprio quel Wall Street Journal che in 125 anni di storia con ogni probabilità mai nessuno dei clienti del Chelsea Hotel deve aver mai aperto, viene a rendere conto del pericolo di perderlo per sempre, con ogni probabilità magari trasformato in uno dei tanti boutique hotel di cui sono piene le guide turistiche.
Oltretutto, solo 2 anni fa, a Cannes venne presentato un documentario fuori concorso di Abel Ferrara, Chelsea on the Rocks, che può dare un'idea ai profani di cosa abbia rappresentato quel luogo nel cuore del quartiere bohémien di Manhattan: se ne riconoscono quasi tutte le storie di cui parla, sia per ricordo diretto sia per averne letto da qualche parte, e così alla notizia della probabile fine del Chelsea, mi è sembrato di essermi perso qualcosa.
Magari mi sono perso solo un punto di congiunzione, fra i mille e mille che si possono trovare in alcune epoche, che mettono insieme le storie più significative. O forse significative lo diventano proprio perchè tutte loro si intersecano, appunto, per quel punto di congiunzione.

Il Chelsea Hotel era un crocevia eletto, e non è facile definire se il catalizzatore sia stato quel punto, o piuttosto il suo trovarsi all'incrocio di tante strade comunicanti.
Forse un crocevia (che può trattarsi anche di altro, che so, una rivista su cui ci si ritrova a scrivere...) nasce per caso, e così soltanto dopo acquisisce l'aura che ne attira l'ipertrofia del mito, assicurandone quindi l'autoalimentazione per molto altro tempo, fino a diventare cosa a sè. Forse. O invece, forse per qualche motivo viene eletto a punto di convergenza di energie difficilmente descrivibili ed ipotizzabili a priori, da parte di coloro che l'hanno progettato e realizzato.Ognuno di questi luoghi ha la sua caratteristica storia, e questa di New York colpisce perchè quegli anni, inutile negarlo, sono stati realmente densi di pensiero e di azione collettiva, e sarebbe difficile farsi venire in mente qualcosa di simile in questi, di anni.
È stata la storia che ha visto soggiornare, creare e spesso tirare a campare gente che in quelle stanze hanno composto, scritto o vissuto qualcosa rimasto poi anche -e qui c'è una delle caratteristiche più originali- nella storia della rispettiva arte.
Il classico elenco quasi da cartolina basterebbe: Sid Vicious, Patti Smith e Robert Mapplethorpe (insieme nella foto qui sopra), Dylan Thomas, Keith Richards, Bob Dylan, Jimi Hendrix, William Burroughs, Andy Warhol, Leonard Cohen, Janis Joplin, Simone De Beauvoir, Mark Twain, Charles Bukowski, Jean Paul Sartre, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Edith Piaf, William Burroughs, Arthur C. Clarke, Arthur Miller, Sarah Bernhard...
Si potrebbe ascoltare ancora Sara di Bob Dylan, Chelsea Hotel #2 di Leonard Cohen e Chelsea Morning di Joni Mitchell, nella hall, con un bicchiere in mano, senza contorni di turisti che sciamano per una foto veloce e distratta comandata dalla pagina 23 della Lonely Planet?
Ethan Hawke
Forse no, come in quasi nessuno di questi luoghi deputati all'autocelebrazione, magari per sopravvivere, dove oggi per meno di 200$ ti affacci fra il Greenwich Village e Midtown, sperando di sentire magari una eco dalla stanza numero 100, dove Sid Vicious dei Sex Pistols uccise Nancy Spungen (nella foto sopra, insieme al Chelsea; sulle "Leggende del Chelsea Hotel" c'è anche un libro di Ed Hamilton, in cui qualcuno ha trovato tanti aneddoti “quante pulci potevano contenere le sue stanze”, per scoprire che Bill e Hillary Clinton hanno chiamato la figlia così perchè si erano innamorati del posto, che Madonna ci stanziava per mesi o che Christo ci abitava gratis in cambio di un quadro...), e così, fra la 7th e l'8th, a New York, si riproduce la fotocopia un po' sbiadita di usembra fare n tòpos.
Il suo nome non sbiadito è genius loci, e di lui parleremo specificamente in altra sede.
Qui, ed ora, credo che sia meglio non fermarsi troppo a pensare, ed entrare nella hall.
Anzi, no, qui dentro ci sono troppe facce note, come lo sono i concergies di Dubai o Bangkok.

No, facciamo finta di niente e saliamo direttamente per una scala di servizio, si, eccola; solo su una ringhiera metallica gialla che nessuno ha ancora pensato di sostituire con qualche altro materiale progettato a norma, solo lì può cominciare una visita al genius loci di un Hotel così... e salendo piano dopo piano, cercare qualche traccia sulla scala antincendio dei suoi long-term notable residents, e finalmente poter sussurrare anche qualcosa, qualche parola di un testo su cui da anni magari Leonard Cohen, come sembra qui a fianco, aspetta di essere accompagnato... Mi ricordo bene di te al Chelsea Hotel, questo è tutto: in fondo, non ti penso neppure così spesso... "I remember you well in the Chelsea Hotel / That's all, I don't even think of you that often..."

3 commenti:

  1. Sì, sono andata a controllare.
    Ci ha vissuto anche Jim Morrison.

    Un gruppo si connota spesso da spazio e tempo. E lo spazio deve trovare un suo luogo preciso, delimitato. Per essere un artista dovevi quindi passare per quell'hotel...
    Qui in Italia c'è un luogo così?

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  2. credo che in molti luoghi ce ne siano così, ma non sono andato a controllare, mi piaceva solo fermarmi un attimo lì.

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  3. per emma:
    ecco un link per gli hotel a tutto rock:
    http://www.virginradioitaly.it/top/style_rock/lifestyle/hotel_del_rock

    per riccardo:
    mi hai fatto venire voglia di fare un giretto a New York! ;-)

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