(pubblicato su www.teatro.org)
Dopo apparizioni rare che rientrano nell'aura non del personaggio, ma proprio della persona, fra cui ricordiamo la partecipazione a febbraio di quest'anno come House band a Parla con me, Bobo Rondelli passa con il suo caratteristico esserci quasi per caso anche a Napoli, e porta alla Sala Teatro Ichos il suo modo di permettersi incursioni sottili e poetiche come sentimenti quotidiani, ed insieme risolute ed efficaci come colpi allo stomaco di una violenza gratuita quando insita nell'animo umano.
“C'è più poesia nel buongiorno di un barista che in tutto il resto, perchè la mattina comincia con un buon caffè e con il senso che gli si da”: così Rondelli fa poesia, toccando quegli aspetti delle persone che non raccontano sé stesse soprattutto per pudore, e paragonandosi ad uno “un po' malato di mente, che però in una società malata di mente diventa quello sano, e si racconta anziché andare dallo psicanalista, non risolverà niente a nessuno ma come in un grande lavoro terapeutico, trova la sua luce”.
È un po' come affrontarsi su quel terreno innato ed a volte insormontabile del proprio rapporto con l'infanzia, dove “non si beveva, ma si era ubriachi lo stesso”. La politica in questo spazio resta un po' in penombra, se si pensa a quella di cui si parla oggi, mentre vi entra a gran voce quell'altra, “quella vera, quella che fa chi non arriva a fine mese, chi sente il bisogno del senso di compassione e di condivisione, perchè quando uno sta bene è bene che si regali...”

È come una riuscita interpretazione materiale di sociologia della musica che può far sentire sulla pelle l'unione fra il dentro ed il fuori del Teatro, fra le parole ascoltate ed il circostante delle periferie nelle quali certamente hanno un senso estremamente pieno, suonano adeguate, sembra che siano state scritte in una delle strade intorno.
È un senso ormai perso, ed è bene che qualcuno ancora possa trasmettercelo.
Ci pensa un cantautore, uno fra i pochi che possono chiamarsi ancora così, capace di farci sentire cosa doveva significare, ad esempio, una trentina di anni fa seguire le mosse di una generazione di artisti uniti da questo appellativo.
In Italia questa categoria si formò in diverse scuole, e forse la loro specificità non stava tanto nel riferimento ad una caratteristica poetica, di linguaggio o concettuale, quanto piuttosto nel riferimento territoriale, alla città di nascita o di adozione dei cantautori, probabilmente solo per facilità e/o spontaneità di aggregazione.
È stato così che ci si è riferiti via via alla scuola genovese, a quella romana, napoletana, bolognese e milanese, ed in questo caso, per trovare un solco su cui ha camminato Bobo, dobbiamo scoprire un po' il lato della sua livornesità, quella che fu anche di Piero Ciampi, per intenderci.
Un po', ma non troppo.

Serve poco, quando si hanno idee.



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