
Di fronte ai livelli plurimi di gioco innestati fra le espressioni, le parole, le storie dentro le storie che durano a volte anche un solo secondo, altre una intera trama, viene in mente subito un'antica radice etimologica anglosassone che accomuna il senso "ludico" al gesto del saltellare: è un'immagine che non abbandona mai lo spettatore, di fronte a questo “Il povero Piero” della compagnia Teatro In Fabula e diretto da Aniello Mallardo, ovvero, potrebbe dirsi, ai profili vari ed eventuali di vanità/alterità e superficialità nei comportamenti umani.
Piero viene colto da morte (apparente), e dall'evento, soprattutto per le particolari disposizioni testamentarie (l'annuncio della sua morte sarebbe dovuto avvenire solo dopo i funerali) conseguono le evidenze di una folta schiera di sentimenti diversi e spesso come dire, convenzionalmente poco consoni all'evento luttuoso, sia per ipocrisia che per paradossale inclinazione al sotterfugio.

Tutto questo, si può ben immaginare, non può essere semplice da portare sulla scena: eppure all'Elicantropo si è materializzato un sorprendente saltello continuo fra il turbinio ritmico della scrittura e degli attori, dipinto anche sugli stessi volti dei personaggi, ed hanno preso corpo e respiro anche le interpunzioni sul plot con i giochi di parole intorno alle vicende come sulle minuzie (su tutti il sublime “Grazie, arcavolo!”), rese con un effetto surreale molto vivido, da sembrare quasi una tela di Joan Mirò, sulla quale di tanto in tanto far apparire anche il gioco d'ombra colorato del racconto delle altre stanze.

Mi siano concesse, con altrettanta effervescenza, le mie prime 5 stelle.
Io, come dice Mr. Woody Allen: Non è che ho paura di morire. Solo che non voglio esserci quando accadrà.
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