(pubblicato su
www.teatro.org)
La serva schiavizzata segue i percorsi delle parole autoreferenziali
che vaniloquiano monologhi con se stesse come in un gioco nel quale il
bambino è costretto a rimanere da solo nel suo recinto con un paio di
palle colorate: è il gioco del Potere che gioca la moglie del
Presidente, autorizzata a pensarsi nel pieno e soprattutto nel centro
della vita sua e di quella degli altri: nella commedia scritta da Thomas
Bernhard a metà di un periodo tormentato come il decennio degli anni
'70, fra attentati anarchici e repressione, anni che Bernhard vide da
vicino e che incise con tratti sarcastici e cupi nel suo
Der Präsident,
i suoi personaggi prendono vita nell'incarnazione dell'amoralità sotto
le forme di emblemi e caratteri che in questa edizione di Carlo
Cerciello devono essere state assunte sulla scena con forme che
probabilmente sono servite ad enfatizzare il loro carattere di
visibilità contemporanea.

Questo perchè soprattutto dal punto di vista
dell'impatto visivo, le distanze che si frappongono rispetto al testo di
Bernhard vivono attraverso concetti che se da un lato conferiscono
visione postmoderna, dall'altro rinunciano a mettere in scena gli
accenti di un aspetto tipico delle sue commedie politiche, ovvero una
finalità di smascheramento che insieme si trucca e si toglie il trucco,
che insieme nasconde e rivela un volto che può ridursi ad una smorfia o
ad uno sberleffo: visualizzare con idea ieratica la moglie del
Presidente in cima ad una enorme, onnicomprensiva gonna di plissè nera,
che tutto ingloba e tutto divora intorno, è uno degli esempi appunto di
questa sostituzione, del passaggio dai tavolini e dalle figure statiche
se non ristagnanti, a questi protagonisti, una che seppur fissa sembra
muoversi attraverso il suo inglobamento, l'altro iperattivo nel suo
appetito subliminal-sessuale.
Nella prima delle due scene, ispirata ad una propensione vagamente
grotowskiana, la moglie del Presidente (una Imma Villa che regge
benissimo il soliloquio, pur potendo ipotizzarne, tuttavia, un impeto
ancor maggiore nelle sue variazioni e nei suoi sbalzi), in uno sfondo
come quello dei fatti della Baader Meinhoff e delle bande anarchiche, si
appara per i funerali di Stato ai caduti della scorta del Presidente,
scampato invece per miracolo all’attentato. E non piange altri, che il
suo cane, morto anch'esso ma di crepacuore, per lo spavento.
Ella è a tutti gli effetti il Potere, anzi il suo effetto collaterale ("
assumere il ruolo della moglie del Presidente"), ovvero la
Con-sorte,
perché appunto il Potere si trasmette per osmosi, di fianco, di lato,
di volto in volto, assorbendo chiunque cada o ricada nel suo raggio di
interesse anche solo indirettamente, e perfino, come qui, per ius
sanguinis.
Trasmutata in co-Potere, quindi, la Moglie schiaffeggia vieppiù la serva con parole come "
Lei non ha nessun diritto di vestirsi di nero",
tanto perchè sia chiaro che nemmeno le briciole delle apparenze, il
Potere lascia ai sudditi, ed apostrofa inconcludenze quotidiane tipiche
quali "
Ma perchè mi è venuto in mente di andare al monumento al milite ignoto, quando volevo comprarmi un cappellino nuovo?"

Il Presidente invece si abbandona alla gozzoviglia anche volgare,
intrattenendosi con la sua amante -non casualmente attrice- nella vasca
da bagno di un hotel extralusso in Portogallo, e declama la sua visione
dell'arte della politica, facendoci rendere facilmente conto che in
qualsivoglia modo lo si possa considerare, l'unico vero limite deve
ritrovarlo infine nello spazio che si rivela sempre troppo angusto, per
il suo ego. Il tutto seguendo anche un ritmo frenetico (ecco il secondo
quadro reinterpretato dalla regia), fino a sfociare nel ritmo della
banda di monelli -uno dei migliori simboli da opéra-comique- della
Carmen ("
Nous marchons, la tête haute / Comme de petits soldats, / Marquant, sans faire de faute, / Une, deux, marquant le pas..."),
sbeffeggiando il Potere con un riferimento peraltro citato anche
esplicitamente, con il 33 giri in bella mostra accanto alla vasca da
bagno.
C'è poi un tasto toccato più volte, e lasciato a porsi solo qualche
domanda magari in attesa del processo coevo alle bande anarchiche, ed è
quell'accenno che spesso viene fatto sui figli, prima dalla moglie del
Presidente in tono accusatorio nei confronti della serva, e poi dal
Presidente stesso (un Paolo Coletta che si getta senza esitazione alcuna
in quell'ego, nuotandoci sempre con sicurezza), quando medita (ebbene
sì, capita anche a lui) sui figli destinati ad uccidere i padri, e tanto
basti per non aprire sull'argomento capitoli copiosi quanto ultronei.

Accennato ad un simbolo dell'elettronica inesplorato di
accensione/spegnimento che si trova in cima al bagno a 5 stelle, resta
da dire sull'ultima scelta interpretativa, ovvero quella di cambiare il
finale: dalla visione nichilista del deperimento dell'uomo così come del
Potere, che nel testo di Thomas Bernhard si realizza con la salma del
Presidente composta su un catafalco, con una grande apertura dalla bara
dalla quale si vede il suo volto, e con la processione formata dalla
Moglie, poi dal Governo, poi dai Diplomatici ed infine dal Popolo, si
giunge qui a spezzare la narrazione per dare lettura, con la voce delle
due vittime (la serva e l'attrice), di una dichiarazione della
terrorista Ulrike Meinhof -colei contro la quale all'epoca era in corso
il processo- circa il suo rifiuto di accettare il ruolo fatuo e
sottoposto della donna.
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Thomas
Bernhard |
È l'ultimo salto, opinabile ancor più degli altri, fra quelli coi quali
si son voluti cercare moderni parallelismi, se non pure superfetazioni
in eccesso, il che se da un lato denota una decisione di intervento e
riscrittura effettuato con partecipazione, va a sopraffare però
l'affidabilità di ciò che già in origine era stato ottimamente
esplicitato con i tratti essenziali quanto incisivi della stessa materia
prima.

