
Larible non è soltanto un attore, ma regista di se stesso ed autore, calca le piste da sette generazioni come trapezista, pattinatore, giocoliere, ballerino, acrobata a cavallo ed altro, finché ha scelto la sua specializzazione di clown ottenendo successi continui, fino al Clown d'oro del Festival di Montecarlo, l'Oscar dei circensi, e le richieste pregiate di Woody Allen e Jerry Lewis.
Tutto questo lo si fa, nel suo mestiere, soltanto quando si va oltre il mestiere, se ci si diverte, se si è capaci ogni sera di morire con quello spettacolo, e di rinascere il giorno dopo, spesso per reinventarlo, perché una delle doti più elevate di Larible è quella dell'interazione con il pubblico: per ottenere il massimo effetto possibile, bisogna calarsi nella realtà circostante, percorrere la sala con sguardo veloce, “sentire” il pubblico che si ha ogni volta di fronte e rispondere alle sue esigenze per scegliere fra le possibili strade da percorrere. In questo, lo show da il meglio di sé, e dopo un avvio concettuale in cui esprime il mondo onirico e sognatore dal quale necessariamente deve fuoriuscire il Clown, dopo la trasformazione da uomo delle pulizie che osserva con rispetto e circospezione ma soprattutto con la consueta irriverenza Gensi, il clown bianco, il simbolo dell'autorità del successo raggiunto, mette tutto a soqquadro, taglia la scena, e lo spazio di un intero palcoscenico diventa perfino troppo piccolo per due protagonisti, perché uno di loro sta per impadronirsi di tutto.

E così, man mano che procede questa conquista dello spazio intorno, ed il pubblico viene chiamato a partecipare, prima un bambino, poi un altro, poi una coppia, poi 5-6 persone alla volta, fino a sketch più complessi dove la scelta istintiva e studiata di chi chiamare con sé conta ancora di più, l'intero pubblico diventa parte integrante di questa concezione globale, come corde di uno strumento nuovo appositamente inventato per l'occasione.
Quando decide poi di avviarsi verso la conclusione dello spettacolo, Larible torna a narrare col suo silenzioso movimento, sempre perfettamente comprensibile, di un posto dove forse i sogni svaniscono per tornare ad occuparsi del proprio quotidiano, ma stavolta il sogno si realizza, e l'energia accumulata viene reinserita in un finale in cui può esplodere l'artista, insieme col suo lieto fine.

Piace pensare che ci sia ancora una sensazione come questa, sia per la sua parte esaltante che per quella nostalgica. Forse una sintesi non rende giustizia alle due componenti: e se la seconda non la conosciamo, e lasciamo che appartenga più all'immaginario, la prima, quella cui si assiste dalla platea, trova sempre il suo principale punto di riferimento, tanto semplice quanto ineccepibile, nella risata di un bambino.
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