
Mario
Santella ha sposato questa narrazione, insieme con un'adesione
rigorosa, essenziale ma non priva di idee, delle scene di Flaviano
Barbarisi ed Anna Seno e dei costumi di Marina Mango, e crea un
leggero impatto contrastante ma convincente con lo stile
prevalentemente ipotattico, articolato e subordinato del testo,
perfino partendo dal silenzio della cecità: le tre figlie
“superstiti” entrano ed escono bendate, senza capire, senza poter
capire, per indossare poi per tutta la scena l'abito della madonna, a
causa del voto fatto per riportare la pace in casa.

Per metà della rappresentazione, tutto sembra girare intorno ad una Donna Antonia che così assurge quasi a convitato di pietra, contribuendo all'accrescimento di un'attesa da colmare infine solo con una adeguata entrée: ed arriva, Sua Eccellenza La Madre, con il volto ideale ed assoluto di Rita Montes a costruire una figura ieratica che riesce a trasformare quasi in una visione, un riferimento ancestrale che detiene con un solo guinzaglio e su un dito solo, potere di vita e di morte sui/sulle sue suddite.
Si
sprecherebbero i lettini Junghiani, nel leggere nei rivoli di questo
archetipico filo che non appare nemmeno più invisibile, essendo un
filo di guinzaglio fatto di una strenua, invincibile, fortissima
fattura, puro acciaio dal quale nessuna suddita può liberarsi,
perché radica in animi di donne che non conoscono vie di
uscita.
Tranne una. La figlia prima prediletta ed ora maledetta, la ribelle che infatti non può fare altro che scontare la sua condanna non solo con un termine procrastinato, ma pagandone anche interessi letali, talmente alti da far pensare che forse sarebbe stato perfino meglio pagarli subito, come le altre, anziché trasmettere ora anche a tre figli una sorte insopportabile.
Ma le figlie annaspano, non sanno cosa fare ma nulla possono fare, dovrebbero lottare contro se stesse e non ne saranno mai capaci, sotto gli strali che diventano condanne anche se provengono da detti popolari, in quanto attuati alla perfezione nella vita reale: “Chi a 20 anni non sa, a 30 non fa, ed a 40 non fa e non farà”, “Sacco vuoto non può stare in piedi”... E se la Montes fornisce l'icona venerabile dell'Assoluto negazionista, Nunzia Durazzo appare la maschera più coinvolgente di questa inanità che pertiene alla semplice e disperata inazione.
Tranne una. La figlia prima prediletta ed ora maledetta, la ribelle che infatti non può fare altro che scontare la sua condanna non solo con un termine procrastinato, ma pagandone anche interessi letali, talmente alti da far pensare che forse sarebbe stato perfino meglio pagarli subito, come le altre, anziché trasmettere ora anche a tre figli una sorte insopportabile.
Ma le figlie annaspano, non sanno cosa fare ma nulla possono fare, dovrebbero lottare contro se stesse e non ne saranno mai capaci, sotto gli strali che diventano condanne anche se provengono da detti popolari, in quanto attuati alla perfezione nella vita reale: “Chi a 20 anni non sa, a 30 non fa, ed a 40 non fa e non farà”, “Sacco vuoto non può stare in piedi”... E se la Montes fornisce l'icona venerabile dell'Assoluto negazionista, Nunzia Durazzo appare la maschera più coinvolgente di questa inanità che pertiene alla semplice e disperata inazione.

La
scelta del Dies Irae con cui la regia ha voluto sottolineare il
finale, così, può suonare ambivalente, e sembra nelle prime note
concordare con l'iracondia dell'apparente dominatrice, mentre
dovrebbe fare da elemento che vi si rivolta contro, come in effetti
senza dubbio è, magari ricordando le stesse parole con cui qualcuno
che costoro dovrebbero tenere in una certa considerazione, un certo
Gesù, commentava il Pater Noster (Matteo 6,7-15): "Se
voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro
celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli
uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe".


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