domenica 5 febbraio 2012

Flip-flop story

All'estero le chiamano flip-flop, qui da noi sono dette infradito. Si, quei sandali che trovo personalmente del tutto impossibili da utilizzare, ma che soprattutto in mondi poveri sono spesso l'unico tipo di calzari a disposizione. Come tante cose impossibili da immaginare, sappiate dunque che un numero enorme, ogni anno, per consunzione vengono abbandonate in Asia ed infestano tutto, scendono sorgenti, seguono fiumi, poi dai fiumi all'oceano, dall'oceano arrivano fino alla costa orientale dell'Africa, e sulla costa si spiaggiano nella misura di 10.000 kg all'anno.

A Nairobi c'è una comunità che le raccoglie per lavorarle, soprattutto se rosa o blu, per farne prodotti diversi. Come volete chiamarlo, riciclo, riutilizzo, va bene tutto, ma soprattutto va bene l'immagine.

Paesi poveri. Materiali poveri. Uso povero. Massimo grado di inquinamento. Traccia di tutto ciò in un incredibile percorso sempre uguale a se stesso, tonnellate di sandali infradito di bassa qualità che disegnano un solco della sporcizia del consumo lungo le acque e su una lunga scia nel mare. Spiagge su cui si fermano tutte insieme, spiagge cui nulla manca (se non l'interesse delle multinazionali turistiche) per essere simbolo di purezza incontaminata ed esotica (questa parola... attenzione a questa parola... prima o poi ci torneremo), trasformate in discariche come dire, già differenziate.

Qualcuno ha un'idea, ed arriva la chiusura di un ciclo. O almeno la sua rivitalizzazione. Sembra una favola, prima che una storia. L'idea è quella di un designer olandese, Diederik Schneemann, che al FuoriSalone 2011 l'ha presentata, e che qui omaggio con qualche immagine significativa.







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