martedì 14 febbraio 2012

Molière nella Duchesca

(pubblicato su www.teatro.org)

Credo che di rado ci si sia occupati di uno spettacolo così giovane, intendendo per giovane naturalmente non la paternità molieriana, quanto la riscrittura di Punta Corsara, e tanto basta a verificare la fortuna del loro Monsieur de Pourceaugnac, oltretutto già presente anche nell'edizione 2010 del Napoli Teatro Festival Italia, che ricordiamo infatti accolto con successo all'ex birreria Peroni.

La loro reinterpretazione proviene da un atto quasi spontaneo: al di là di qualsivoglia luogo comune, è certo che a poche atmosfere si presta così bene un testo, come a quelle nostrane, se solo lo si vuole inscrivere fra certezze come i palazzi deformanti dotati di sguardi ed orecchie come sono quelli del centro storico partenopeo (nelle scene di Francesco Avolio e Roberto Carro), ed insiemistiche eterne come la malizia e la veracità della donna mediterranea (Valeria Pollice e Giuseppina Cervizzi), e l'isolata scugnizzeria di un manuale degli espedienti dal volto umano (Vincenzo Nemolato).

Il Signor di Pourceaugnac (Christian Giroso) diventa così lo straniero spaesato, trascinato negli immortali canovacci della commedia dell'arte attraverso frizzi e lazzi impreziositi da alcune trovate interessanti come i “fermi-immagine” che fanno da improvviso stop-and-go ad alcuni quadri che sembrano così diventare fotografie di scena per gli ottimi Corsari.
Il bozzetto francese tracima nel teatro popolare partenopeo, compreso un non indifferente impatto fisico ed anzi quasi violento, seppure sempre sulla soglia dell'ironia, e sempre molto ben al di qua di essa. Viene da associare anche a tutto ciò un valore pedagogico, accanto a quello artistico, nel loro rappresentare e portare in giro ormai con notevole capacità di convinzione un progetto di impresa culturale che coinvolge l’Auditorium di Scampia.

Quando a metà del '600, prima del Borghese gentiluomo e del Malato immaginario, Molière esordì con Les fâcheux, incorniciato dalla musica nientemeno che di un certo Jean-Baptiste Lully, il sentiero drammaturgico acquisì già alcuni dei suoi punti fermi, che qui si elencano nella denuncia della casta medico-ciarlatana dal pensiero ristretto sul proprio prestigio sociale, alla satira gettata in faccia all'alta borghesia ed all'immobile nobiltà, tutto sottolineato dalla furbizia del popolino. È indubitabile, che quello napoletano sia un palcoscenico ideale per tutto ciò, sebbene ovviamente a continuo rischio di ovvietà.

Ma è una ovvietà insita nell'essenza stessa dell'accostamento, nella scelta in sé di una comédie-ballet che cita genitori come “Pulcinella pazzo per forza” e “Pulcinella Burlato”, opere in gran voga alla corte francese, e che però, se si vuole guardare meglio, contribuisce ad uno sguardo che non può fermarsi sempre sugli elementi direttamente deduttivi, per parlare ad esempio di alterità e di sopraffazione, che al di là della farsa rimangono nel sedimento della risata, quando essa termina e si pone fine al lazzo.

Certo, nessuno si identificherà con il signor di Pourceaugnac o ne rimarrà pietosamente amico, piuttosto che partecipare con sana, catartica beffa all'estrema conseguenza dell'intrigo, eppure credo che in ogni farsa, come scriveva Bergson (Le rire), l'attimo vincente è quello del movimento del dimenticare per un attimo le ragioni dell'umana pietà, distaccarsi, ed assistere alla vita (altrui) come uno spettatore indifferente, in modo che il dramma piccolo o grande, addossato interamente sull'altro, si converta in commedia. Come "un’anestesia momentanea del cuore" che provoca la temporanea sospensione della realtà.
Era esattamente al borghese fin de siècle seduto in platea, davanti ad una commedia di Molière, che pensava, e non deve essere cambiato poi molto, se non che magari gli spunti di riflessione, una volta terminata la sospensione, devono essere, si spera, molto più numerosi, e molto più avanzata la nostra capacità di fissarli nel pensiero.

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