domenica 22 aprile 2012

Cyrano? C'est moi...

(pubblicato su www.teatro.org)

“...godetevi il successo, godete finché dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura...

Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna [...]
Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato [...]
...si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore [...]
...ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste […]


Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito,
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti [...]


...dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole [...]
...perché oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo... Cirano


Mi farò accompagnare dalle parole non di Rostand, bensì di Francesco Guccini, che seppe mirabilmente descriverne gesta particolari con immensa sensibilità, e che in modo particolare in questa rappresentazione converrà dunque ricercare.
Scegliendo Preziosi questo soggetto, di certo sapeva che sarebbe stato alquanto difficile evitare l'idea del belloccio (famoso in quanto tale) che gioca a fare il brutto come per sfidare i commenti e spiazzare quel senso di attesa per l'immagine classica del Cyrano; però non ci ha nemmeno provato, anzi, l'ha sostituita con la sua, ed ha perfino concepito una vera e propria sfida che potrebbe definirsi tecnicamente scandalosa, quale è la scelta di eliminare l'unica icona presente nella memoria di chiunque, ed anche la stessa ragione dell'esistenza dello scritto di Rostand: il naso.
Un naso che deformando le fattezze e l'estetica del volto, trasforma il protagonista nell'emblema del rifiuto di sé stessi, e che poi psicanaliticamente arriva a descriverci con grandi e sorprendenti tratti il senso dell'essere inadeguati. Ebbene, la sua regia semplicemente lo elimina, cancella il tratto essenziale, come se apparisse Cappuccetto rosso senza cappuccio, la Gioconda senza il sorriso, Icaro senza ali.
Perché, dunque, farci guardare ed anzi scrutare sul suo viso alla ricerca di quale tipo di deformità abbia escogitato, dal momento che a prima vista non appare, per poi farci accorgere che no, in effetti non c'è proprio nulla, manca e basta? Non c'è dubbio che sia un movimento voluto, quello creato da questa mancanza, un'attenzione che prima deve alzarsi, poi rimanere sospesa, poi cadere in qualcos'altro; c'è da chiedersi dunque in cosa.
La risposta, probabilmente, potrebbe essere che si è voluto mettere lo spettatore davanti alle difficoltà che potrebbero appartenere ad ognuno di noi e dunque non identificabili da un naso-totem (risposta della regia?), oppure che si è cercato di scambiare i ruoli dell'attenzione (risposta del vostro osservatore), ovvero un classico dello sfruttamento d'immagine.
Il sognatore, il trasvolatore Cyrano dunque veleggia a metà fra il dover essere eroe per propria vocazione, o per altrui neghittosità, e rimane sempre strettamente legato soprattutto al suo lato di assaggio secentesco di scetticismo erudito, incline al razionalismo, libertino, individualista ed istintuale: irrisione della religione, dello Stato, della famiglia, aggrappato ad una scienza che apre gli occhi alle prime vertigini dell'infinito.
Mentre Cristiano de Neuvillette, il vero Bello da contrapporre a sé, viene affidato ad un attore danese, Benjamin Stender, la cui evidente lingua madre straniera aumenta l'algido confronto ideale (oltre che ad accentuare la tendenza al voler apparire realmente idiota), ma anche la lontananza dei ruoli, con l'insospettabile profondità emotiva che traspare solo alla fine, nel suo desiderio di essere (anch'egli) amato per ciò che è e non per ciò che l'arte del complice Guascone lo fa diventare agli occhi di una Rossana più furba che romantica.
Il ritmo, il senso di una produzione importante, costumi di un certo impatto favoriscono il sole degli elementi entusiastici di cui sopra, piuttosto che la luna che coprirebbe d'argento il lato romantico e sofferente del percorso imperfetto del suo animo, e che forse però avrebbe avvicinato di più Cyrano al suo pubblico, piuttosto che non il contrario della scelta della eliminazione del suo naso.
Insomma, molto più il vero Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac, che non il Cyrano de Bergerac di Rostand.
L'infelicità della storia d'amore viene lasciata troppo a lato, e schiacciate dalla presenza ingombrante del Guascone esplosivo sono la pena ed i mille risvolti interiori che potevano approfondirsi, così come probabilmente anche quella centralità del dubbio che l'uomo d'arme Cyrano (il vero) ardiva presentare ai suoi contemporanei, come accade ad esempio quando prevale l'aspetto farsesco anche nella scena della fiabesca invenzione adottata strategicamente per fermare Antonio de Guiche, quella che tanto ricorda "L’altro mondo, ovvero Gli stati e gli imperi della luna e del sole", l'opera dello stesso (vero) Cyrano.
Resta il senso di una bella produzione, con una precisione scenica di movimenti di cui si deve rendere omaggio a Nikolaj Karpov, e la preparazione complessiva dei giovani dell'Academy diretta da Preziosi.
Ma resta, soprattutto, il dubbio di aver visto non Cyrano, ma un prototipo del cadetto di Guascogna di marca Cyrano, quell'incrocio appunto fra il Gatto con gli stivali, Mangiafuoco e Jim Carrey... ecco, l'impressione definitiva rimane quella di un'anteprima del futuro, ovvero, di come Preziosi stia studiando da Mattatore.

1 commento:

  1. Bellissima recensione; ho riascoltato Cirano di Guccini, grazie.

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