domenica 21 ottobre 2012

Tutti a bordo, si improvvisa

(pubblicato su www.teatro.org)



Quando ci si trova fuori ad un teatro, prima dello spettacolo, e ci viene chiesto di annotare su un foglio un pensiero, una emozione, oppure nomi e situazioni, comincia a cambiare subito l'atmosfera della serata, soprattutto per chi si avvicina da profano al teatro d'improvvisazione, ed in particolare alla forma italiana nata circa sei anni fa, l'Imprò, dopo aver importato per un ventennio, della nobile ed antica forma dell'Improvvisazione, soltanto le versioni del match di improvvisazione canadese, e del theatersport anglosassone.

Dall'urna dalla quale vengono estratti via via i pensieri degli spettatori, nascono i soggetti dello spettacolo stesso, poichè se un contenitore e di certo dei legami mentali esistono sulla scena e fra gli attori (in questo caso, ci troviamo in un aeroporto, con tre steward ed una hostess ad alternarsi fra i più esperti e virtuosi della scena nazionale come Giorgio Rosa, Tiziano Storti, Renato Preziuso e Deborah Fedrigucci), ebbene tutto il resto risiede appunto in un vaso pieno di foglietti estemporanei, che costoro trasformeranno in trame, in atteggiamenti, in reinvenzioni ludiche delle stesse parole scritte.
Una delle prime sorprese sta nel ritmo, che la compagnia QFC mantiene sempre al di sopra delle aspettative grazie a capacità attoriali personali e ad una conoscenza dei testi di cui si intuisce il substrato: la scena cambia in pochissimi secondi, il che significa averne l'input casuale pressoché in tempo reale, ed immediatamente ripartire con un canovaccio costituito a volte da una sola parola sconosciuta, che quando si rivela ridefinisce la struttura del racconto, ne fa ricominciare altri vincolati estemporaneamente dal pubblico, e così via.
In alcuni momenti si colgono gli sguardi degli attori che si cercano come se sapessero riannodare un'intesa al volo, anche senza sapere cosa l'altro starà per dire, ed è proprio così, funziona così bene che le parti comiche non si fanno attendere, creano anche uno loro ripetizione intrinseca richiamandosi a distanza di più scene, ed adottano un linguaggio teatrale di tutto rispetto. Così come si può immaginare sia il controllo della tecnica del suono e delle luci, altre componenti di un tutt'uno che si affida alla comprensione reciproca e delle cuciture artigianali dello spettacolo.


Il numero e la qualità delle sovrapposizioni, di conseguenza, è ovvio che muta ad ogni spettacolo (ogni sera sarà diversa dalla precedente, e pertanto è inutile ricordare anche le scene più riuscite perchè probabilmente non si ripeteranno (in questo caso facendo una menzione particolare per Mr. Tom Tom e Mr. Garmin, coscienti del fatto che solo i presenti a quel singolo spettacolo capiranno...), e se questo può far pensare ad una estemporaneità della sua stessa riuscita, va detto che anche gli attori degli spettacoli più classici essendo soggetti ad una loro migliore o peggiore disposizione, si produce un risultato affatto diverso, con... l'aggravante di avere tutto già preparato e predefinito; ma è utile ricordare soprattutto il senso antico da cui proviene l'idea di salire su un palcoscenico senza un testo predefinito, e risalire ai canoni della commedia dell'Arte, dei movimenti anti-censura, delle performance plautine ed istrioniche: lo è per trovare un comune denominatore, che oggi magari ha meno virtù catartiche, ma conserva una ragione di anarchia che rimane dipinta in quell'attimo di sorpresa che più di ogni altra cosa, forse, unisce attori e spettatori, perchè non è infrequente leggere sulle loro maschere la stessa espressione che l'attimo inventato suscita nello spettatore.

Nessun commento:

Posta un commento